martedì 4 maggio 2010

Stile di vita e didattica non convenzionale

Il cambiamento dello “stile di vita”, inteso come acquisizione di capacità di relazioni sociali, capacità di progettare il proprio futuro, di essere cittadini attivi, è l’obiettivo fondamentale e la scommessa per impostare un progetto contro la dispersione scolastica.
Prima di tutto è necessario ristabilire la fiducia dei ragazzi dispersi nel mondo adulto, del quale la scuola rappresenta l’esperienza per loro fallimentare. Il riavvicinamento alle regole sociali avviene attraverso metodologie e contenuti non tradizionali, che si fondano sulla dimensione relazionale e sulla individualizzazione dei percorsi. Una “didattica dell’occasione socializzante” deve essere comune a tutti i progetti: è nella ricerca di una relazione empatica, di una comunicazione su base emozionale piuttosto che concettuale che è possibile trasmettere regole condivise e contenuti culturali, e le attività progettuali si devono fondare su questi canali. La realizzazione di filmati o di spettacoli teatrali e musicali, l’utilizzo delle nuove tecnologie e di laboratori rappresentano quindi gli strumenti di una didattica non convenzionale ma efficace per trasferire elementi di apprendimento.

Al liceo “N.Tron” (VI), la scuola in cui insegno, un principio sembra essere alla base del processo di insegnamento-apprendimento: quello della responsabilizzazione degli allievi e dei docenti. Gli allievi vengono messi a conoscenza degli obiettivi che devono raggiungere e sono invitati a creare loro stessi dei percorsi didattici (in alcune materie, gli allievi progettano delle U.D. che sono poi messe in rete). Il lavoro scolastico è considerato stimolante sia dagli alunni, sia dai genitori e la scuola ha volontariamente organizzato i propri spazi in modo che sia favorito un approccio laboratoriale alle discipline. In generale, si può affermare che la capacità di sperimentare nuove modalità di fare didattica sia una delle caratteristiche della scuola, in questo rientra anche l’attenzione all’uso delle nuove tecnologie che costituisce una peculiarità del Tron.
Il fatto di porre al centro della attenzione didattica le esigenze degli allievi ha degli effetti importanti anche sul clima di scuola e di classe: gli allievi del liceo “N. Tron” si trovano bene a scuola ed apprezzano le opportunità che sono loro offerte anche attraverso le attività extra-scolastiche.
Sempre al “N. Tron”, inoltre, un forte impulso alla creazione di un clima positivo è costituito dalle molte opportunità di apprendimento al di fuori dell’orario scolastico che la scuola offre e dall’importanza alla crescita della persona, anche dal punto di vista dell’autonomia e della responsabilizzazione, che la scuola considera fondamentale. Un segno tangibile dell’importanza accordata al clima di scuola è costituito dalla cura che la scuola offre nel mantenere i locali esteticamente attraenti e ordinati.

Sottostante la relazione esiste però un patto formativo tra gli operatori e i giovani, senza il quale il percorso di recupero è improbabile da realizzare. La relazione di fiducia che lega i ragazzi agli insegnanti e agli educatori è alla base dello sviluppo del processo di cambiamento negli atteggiamenti e nei comportamenti.
Ogni buona idea o progetto presenta però delle criticità; la scuola è il luogo in cui il disagio si manifesta e in cui è quindi più a portata di mano ciò che notoriamente è difficile individuare e avvicinare, i giovani a rischio di dispersione; è pertanto necessario che i dirigenti e gli insegnanti siano in stretto contatto con le micro-esperienze attive localmente. Vi è la necessità di creare una rete più vasta di quella di quartiere o di circoscrizione, uno spazio in cui creare sinergie tra associazioni, servizi sociali e territoriali e scuole per accrescerne la visibilità. Il rapporto con la famiglia costituisce un elemento cruciale per la riuscita del cambiamento degli atteggiamenti verso la scuola da parte dei giovani a rischio .
In conclusione la dispersione si può contrastare, è un fenomeno che può essere combattuto con successo, ove esista la volontà di farlo.

Riforme? Corsa ai licei e crisi degli istituti tecnici e professionali


Un ulteriore elemento di mutamento e di difficoltà della scuola nel rapportarsi con i giovani e con le famiglie è dato dalle mancate, o meglio parziali, riforme del suo ordinamento, anche se oggi stiamo vivendo le fasi preparatorie alla Riforma Gelmini. Fino all’anno scolastico scorso l’offerta formativa, soprattutto nella secondaria di secondo grado, era meno identificabile che in passato: si pensi, ad esempio, alla corsa ai licei degli ultimi anni e ai mutamenti nell’identità degli stessi licei, come degli istituti tecnici e professionali. In particolare questi ultimi due tipi di scuola spesso sono risultati in affanno dato che è venuto meno il legame con il territorio e gli sbocchi occupazionali che erano in grado di offrire in un passato recente. Si tratta, in tutti i casi, di fenomeni che mostrano l’accresciuta difficoltà della scuola nel comunicare con l’utenza la propria identità e i propri obiettivi, nonostante l’istituzione dei P.O.F. In buona sostanza, sembra aggravarsi il costante problema del ridotto orientamento degli studenti alla scelta dei propri percorsi scolastici; a ciò conseguono, purtroppo, la crescita di alcune forme di dispersione e, soprattutto, l’aggravarsi dei ritardi nelle cosiddette “scuole di seconda scelta”, dove la situazione diviene quindi più difficile.
Tutto ciò si lega inoltre alla capacità delle scuole di essere precoci nell’individuare i soggetti a potenziale rischio di dispersione, in modo tale che non si verifichino per gli studenti spirali negative, che portano dal disagio all’abbandono scolastico. È evidente che gli insegnanti sono, assieme ai genitori, i primi soggetti che possono rilevare l’affacciarsi di disagi potenzialmente rischiosi per la dispersione e che sono quindi chiamati a vigilare su questo. Come si può immaginare, tanto più precoce e individualizzato è l’intervento tanto maggiori sono le possibilità che abbia un esito positivo. Ritengo che difficilmente la scuola possa arrivare ad utilizzare in modo ottimale la flessibilità che gli è concessa con l’autonomia, essendo un’organizzazione fortemente consolidata; quel che non può essere raggiunto nell’individualizzazione è però probabilmente conseguibile nella capacità della scuola di essere tempestiva nell’individuare le situazioni di rischio e di mettersi in rete con le realtà che operano efficacemente con gli studenti in situazioni di disagio scolastico.
Alcuni di questi elementi emergenti del fenomeno dispersione sembrano essere anche peculiari del contesto dell’alto vicentino, realtà in cui presto servizio.
In primo luogo, il vicentino si configura come un’area di benessere economico diffuso, proprio questo aspetto sembra far spostare la bilancia dell’influenza familiare dalla mera disponibilità di risorse economiche all’aspetto del coinvolgimento nei processi di educazione, ma anche di formazione e di iter scolastico dei figli. Si potrebbe parlare della cosiddetta “sindrome da ipermercato” per mettere in luce la mancanza di comunicazione nelle famiglie. Ciò che preme sottolineare è che mutando il ruolo della famiglia nei processi di scelta educativa dei figli, devono anche mutare le modalità di coinvolgimento della stessa nell’orientamento scolastico. Un ulteriore aspetto peculiare legato al benessere diffuso è dato dal fatto che i giovani dispersi vicentini non sembrano andare incontro a lunghi periodi di disoccupazione, ma piuttosto a inserimenti lavorativi in fasce deboli del mercato del lavoro.
Un ulteriore elemento è legato al passaggio da un’economia fortemente industriale a una dei servizi, con i conseguenti spiazzamenti nell’identità e nel ruolo degli istituti tecnici e professionali, che faticano maggiormente a dialogare con il mondo del lavoro rispetto al passato.
Un altro elemento peculiare dell’alto vicentino è l’espansione dei fenomeni immigratori e con essi dei relativi mutamenti nel profilo della dispersione.

Macrofenomeni emergenti legati alla dispersione


Si possono individuare alcuni macrofenomeni emergenti, che esercitano un importante impatto nella generazione e nella distribuzione tra gli individui del rischio di dispersione.
In primo luogo, si rileva che il panorama della dispersione sta subendo una profonda trasformazione legata all’affermarsi anche nel nostro Paese, e in particolare nelle aree industrializzate come il vicentino, dei fenomeni immigratori. Infatti, non solo gli studenti immigrati sono portatori di proprie peculiari esigenze nei confronti del sistema scolastico, ma soprattutto presentano una forte eterogeneità interna; ecco allora che non basta aggiungere agli elementi caratterizzanti il profilo del disperso la parola “immigrato”, dal momento che dietro questa definizione possiamo trovare problemi di natura molto diversa, dalle semplici difficoltà linguistiche a problemi legati al dis-orientamento in un nuovo sistema scolastico, all’integrazione socio¬culturale, alla deprivazione economica, etc. Inoltre, esistono molti casi in cui, al contrario dell’aspettativa di luogo comune, all’immigrazione si associano risultati scolastici brillanti e quindi una riduzione del rischio dispersione. Quel che più interessa però, nel modificarsi del panorama della dispersione, è che l’immigrazione tende a concentrarsi, nella scuola di secondo grado, proprio in quei canali caratterizzati già da elevata dispersione, quindi in particolare nelle scuole professionalizzanti. Ciò significa che i meccanismi generatori di dispersione in questi contesti vedono crescere ulteriormente la loro complessità, con la conseguente imprevedibilità dei risultati a cui possono portare.
In secondo luogo, è molto cambiato il rapporto esistente tra la famiglia e la scuola. Da un lato, da parte delle famiglie c’è un minor riconoscimento del ruolo della scuola e ciò si lega a frequenti deleghe basate sul disinteresse per ciò che accade in essa; al contempo, in alcune situazioni chiave, come ad esempio nella scelta della secondaria di secondo grado e nella gestione dell’insuccesso scolastico, il rapporto tra insegnanti e famiglie diviene teso poiché diverse sono le considerazioni che vengono compiute rispetto agli studenti. In altri termini, non si assiste ad una composizione delle divergenze tra i due mondi adulti che fungono da riferimento per i giovani figli/studenti, bensì ad una tensione in cui spesso è la famiglia a dire l’ultima parola, non sempre in modo positivo per i figli. A tal proposito, si pensi ad esempio ai casi di “orientamento al rialzo”, quindi alle situazioni in cui i genitori hanno spinto i figli a iscriversi a scuole poco affini a loro, spesso perché troppo difficili, nonostante il parere contrario degli insegnanti della scuola media inferiore. Sembra evidente che qualcosa nel rapporto scuola-famiglia si è rotto e che quindi il meccanismo di generazione della dispersione legato a questo rapporto funziona in modo diverso rispetto al passato: non è solo la dotazione economico-culturale della prima a pesare sui destini dei figli, oggi, ma anche l’investimento che i genitori fanno nel dialogo/confronto con la scuola e con i figli come studenti. In altri termini, un ulteriore fattore di rischio potrebbe oggi essere identificato nella capacità di insegnanti e genitori di collaborare nella definizione dei percorsi scolastici dei giovani studenti/figli.
Un terzo elemento di mutamento strettamente legato al precedente, anzi forse alla sua base, è la difficoltà che incontra la scuola oggi nel fare fronte ai mutamenti in essere nella Società della conoscenza. La diffusione del sapere in forme e modalità nuove (si pensi ad esempio al ruolo giocato dalle TIC o alla rilevanza assunta dalle lingue e dalla dimensione del viaggio) fatica a essere integrata nei programmi scolatici e, soprattutto, nelle pratiche quotidiane. La scuola sembra essere combattuta tra un tentativo di riforma profonda in grado di mutarne gli assetti e i contenuti e la preservazione dell’esistente, anche a costo di risultare obsoleta o, peggio, di importare in essa le innovazioni solo dopo averle snaturate in modo che siano conformi ai suoi meccanismi di funzionamento. A tal proposito, si pensi, ad esempio a come vengono impiegati i personal computer in molte scuole: si tratta di strumenti con grandi potenzialità di rivisitazione del modo in cui vengono trasmessi i contenuti, ma spesso il ruolo a cui sono relegati è quello di banali supporti a latere di lezioni tradizionali. La dispersione, quindi, sembra legarsi oggi anche alla capacità della scuola di valorizzare le abilità e competenze degli studenti, senza sanzionare quelle che non rientrano nei suoi “protocolli” tradizionali e che sono riconosciute e valorizzate al di fuori di essa.

Carattere multidimensionale della dispersione


Nel mondo della scuola si torna spesso a parlare degli stessi argomenti e lo si fa soprattutto quando si tratta di problematiche irrisolte. La dispersione scolastica è un fenomeno ricorrente nell’ambito delle Istituzioni scolastiche secondarie superiori. Ho avuto modo di riscontrare, nel corso della mia esperienza professionale, che alla base dello scarso interesse e della bassa motivazione degli alunni vi sono disagi psico-affettivi, nonché difficoltà socio-relazionali, che si ripercuotono negativamente sull’apprendimento scolastico.
Si può quindi pensare che il fenomeno della dispersione abbia carattere multidimensionale; credo si possa dire che due sono i motori generatori di complessità del fenomeno e di domande in chi lo studia.
In primo luogo, la compresenza di molte forme di dispersione, che vanno dal disagio scolastico all’interruzione degli studi, a cui corrispondono quindi molteplici definizioni operative. Sembra opportuno, quindi, parlare di dispersioni e non di dispersione.
In secondo luogo le dispersioni sono solo l’esito finale di processi che hanno origine dall’interazione di un nutrito insieme di attori; limitandosi solo ai più visibili, troviamo i giovani studenti, i loro genitori e gli insegnanti. L’aspetto che risulta però determinante nell’accrescere la complessità del fenomeno è che tutti questi soggetti agiscono all’interno di contesti socio-istituzionali governati da proprie dinamiche e norme di condotta: la scuola, la famiglia, ma anche l’ambito socio-economico di appartenenza. È facile osservare che, infine, tutti questi contesti sono interessati da profonde e rapide mutazioni: si pensi, ad esempio, alle riforme del sistema scolastico, ai cambiamenti del mercato del lavoro, ai processi di immigrazione, ma anche all’affermarsi di nuove forme di convivenza familiare.
Le differenti forme di dispersione, quindi, sono l’esito di un fitto intreccio di azioni individuali e processi sociali che presentano elementi di instabilità e mutamento. Infine, i dati quantitativi ufficiali disponibili, anche in un contesto come quello Veneto non sono in grado di gettare luce sul fenomeno, ma si limitano a confermare alcune sue caratteristiche di fondo. Niente è più naturale, quindi, di un accavallarsi di molteplici interrogativi, quando siamo chiamati a indagare con un approccio analitico il presunto fenomeno unico denominato “dispersione”.
Nonostante la complessità dell’oggetto di indagine, è però possibile fornire alcune risposte al problema.
Accanto alla già citata multidimensionalità del fenomeno e al suo essere generato da una pluralità di cause, si può notare che esistono alcuni importanti elementi di strutturazione dello stesso. Ecco, allora, che giocano un ruolo centrale nel determinare la probabilità di incorrere nelle diverse forme di dispersione alcune caratteristiche dei soggetti:
• le risorse economico-culturali della famiglia di origine;
• il genere, con i maschi costantemente a rischio maggiore;
• il tipo di scuola frequentato;
• i risultati scolastici pregressi;
• l’età.
Vale la pena soffermarsi brevemente su questi ultimi tre aspetti: sono maggiormente coinvolti nelle differenti forme di dispersione gli studenti della scuola secondaria di secondo grado (e in una certa misura di primo grado), soprattutto nella fase di passaggio tra i due ordini scolastici. Inoltre, si rileva che i risultati scolastici che precedono questa fase sono un buon predittore di insuccesso e, al contempo, sono strettamente associati al tipo di scuola di secondo grado che i soggetti frequentano: ciò comporta che gli studenti a minor rendimento (e maggior rischio) siano tipicamente concentrati negli istituti professionali e/o nella formazione professionale. Infine, osserviamo che esiste una stretta e problematica sovrapposizione tra l’età tipica di dispersione e l’ingresso degli studenti nella fase adolescenziale, caratterizzata da forti e spesso difficili mutamenti individuali.
È possibile tracciare quindi un profilo del soggetto a più elevato rischio di dispersione: un giovane maschio di circa 14 anni con risultati scolastici scarsi nella secondaria di primo grado, proveniente da una famiglia di modesta estrazione socio-culturale e iscritto a una scuola professionalizzante.

venerdì 30 aprile 2010

Quando la scuola dà saturazione


Recenti studi in ambito psicologico hanno evidenziato che fra le possibili ragioni alla base dell’abbandono potrebbe risiedere la stanchezza generata da un’istruzione fortemente ripetitiva.
Una situazione caratteristica nella quale ciascuno può essersi trovato è quella in cui si resta a lungo nello stesso spazio, o in compagnia delle stesse persone e, principalmente, quando ci si sente obbligati a restare in determinate condizioni, nonostante il desiderio di cambiare posto, di interagire con persone differenti o di restare da soli.
Quando il carattere di costrizione è assente, è possibile che, se una certa attività comincia a farsi pesante, si tenda a passare a un’altra. In parecchie situazioni è però presente il carattere di costrizione. Tipico il caso dell’allievo costretto a trascorrere molte ore della sua giornata nella stessa aula. È un particolare caso in cui il pericolo della saturazione è in agguato.
È possibile fare qualcosa per evitare la condizione di saturazione degli studenti? Pare proprio di sì e la parola magica è varietà, considerata a diversi livelli. In riferimento ai luoghi, alle attività da svolgere, alle modalità di esecuzione, alle tipologie di rapporto che si intrattengono con loro. Nello specifico, nella situazione scolastica l’attenzione andrebbe rivolta anche all’ambiente architettonico, all’aspetto e alle dimensioni delle aule.
In una scuola moderna e dal carattere non saturante, oltre che nella loro solita aula, gli allievi dovrebbero avere l’opportunità di passare in altre, specificatamente attrezzate per le attività previste dai vari corsi di studio. Sale informatica e di scienze quindi, sale adibite alle attività teatrali o alla lettura di classici. È quello che in questi ultimi anni ha cercato di fare la mia scuola il
Liceo Scientifico ‘Tron’(VI), nella quale gli alunni non hanno una loro classe fissa ma ‘girano’ per l’Istituto utilizzando aule attrezzate per le loro attività specifiche, dai laboratori di Fisica, Informatica, Chimica, Biologia e lingue alle aule provviste di LIM. La varietà dovrebbe poi, naturalmente, riguardare le attività stesse e le modalità con cui gli allievi le eseguono (passando se possibile dal chiuso all’aperto, dall’aula di base a una delle aule attrezzate). E dovrebbe riguardare anche le persone con cui gli allievi stanno. Qualora poi apparissero i primi indizi di saturazione dovrebbe essere immediata l’introduzione di qualche elemento di forte novità o la sospensione dell’ attività e il passaggio a un’altra che dovrebbe essere quanto più possibile diversa dall’altra, caricata di nuovo appeal; a questo proposito l’avere in aula una LIM permette effettivamente di modificare l’attività che si sta svolgendo in base all’attenzione dimostrata dagli studenti e al loro interessamento di quel preciso momento.
L’insegnante dovrebbe essere addestrato a cogliere i segni di saturazione: più facile distraibilità, maggiore tendenza a cambiare spesso la posizione del corpo, a chiacchierare con i compagni, guardarsi intorno, a giocherellare con le mani o a trastullarsi manipolando qualche oggetto.

c'è poco da scherzare